10 buone ragioni per sostenere la SIPNEI
Spieghiamo anzitutto l’acronimo: SIPNEI sta per Società Italiana di PsicoNeuroEndocrinoImmunologia, la società scientifica fondata nel 2000 da Francesco Bottaccioli, che ha appena celebrato a Torino il 30/31 ottobre scorso, il proprio Convegno Nazionale dal titolo: “Conoscere e curare l’essere nella sua interezza”. Un titolo sicuramente ambizioso che si collega all’obiettivo che la SIPNEI si è intestato come mission, espresso nell’occhiello della brochure con estrema chiarezza: “Dalle nuove ricerche nel campo dell’epigenetica, delle neuroscienze e della psiconeuroendocrinoimmunologia emerge una visione complessa e unitaria dell’individuo e degli stessi microsistemi vitali, che reclama un nuovo modello integrato nella ricerca e nella cura, superando il riduzionismo che, storicamente, ha assegnato alla psicologia lo studio e la cura di una mente senza corpo e alla medicina la cura di un corpo senza mente”.
Il Convegno di Torino, per i contributi offerti e per l’ampia presenza di partecipanti, ha sicuramente confermato il fascino di questa sfida, ma ha pure dimostrato che non è sufficiente invitare dei relatori di aree disciplinari diverse a trattare argomenti ‘comuni’ o di confine (metabolismo e intestino, mente-cervello, stress e infiammazione, terapie del dolore e autopercezione…), per realizzare tout-court quel modello integrato, che tutti invocano, molti desiderano, pochi applicano.
Se psicologia e medicina rappresentano due mondi, isolatamente incompleti ed erroneamente separati, le ragioni di tale situazione derivano quasi tutte dal modo con il quale sono nati e si sono sviluppati i saperi, che hanno fornito alla medicina e alla psicologia i ‘fondamentali’ per la loro costituzione e, successivamente, dal modo con cui si sono organizzate le pratiche di ricerca, di formazione e di cura .
E’ vero che la circolazione delle conoscenze all’interno e all’esterno dei vari ambiti scientifici è oggi notevolmente più fluida, più estesa, più variegata e che al dogmatismo ideologico si è sostituito, un po’ dappertutto, un relativismo gnoseologico considerato scientificamente (e politicamente) più corretto. I paradigmi ‘tradizionali’ appaiono ‘stretti’ anche ai diretti interessati – un esempio per tutti la genetica – e i dati che vengono oggi raccolti e diffusi, grazie anche all’uso di nuove tecnologie di indagine e di osservazione, trasbordano facilmente oltre confini delle specifiche appartenenze.
Tuttavia da quasi tutti gli interventi ascoltati al Convegno di Torino, in modo particolare da quelli afferenti all’area biomedica, non sono emersi segnali di autocritica nei confronti del modello ‘epistemologico’ utilizzato, né tanto meno di disagio riguardo al palese ‘riduzionismo’, presente in tante affermazioni sul ‘funzionamento’ di organismi viventi complessi a partire da dati desunti dal ‘funzionamento’ di una singola cellula (osservata in colture di laboratorio) o dal ‘comportamento’ di un singolo neurotrasmettitore, a saldo dei ‘comportamenti’ di tutti gli altri neurotrasmettitori contemporaneamente attivi sulla stessa area e su altre aree cerebrali vicine e lontane intimamente connesse.
Né è andata meglio ascoltando alcune relazioni di area psicologica o filosofica. Pur di non apparire ‘riduzionisti’, alcuni relatori si sono ‘avvitati’ in una ‘teoresi’ così eterea e ‘generalista’ – sul costrutto di ‘relazione’, per esempio – da rischiare indeterminatezza e confusività.
La verità è che i prodotti stratificati della storia – che sia quella politica o quella delle idee – non si modificano con le buone intenzioni e neppure soltanto attraverso nuove ‘narrazioni’.
Se sul piano clinico, cioè sui percorsi di diagnosi, cura e assistenza, medici e psicologi hanno trovato molteplici occasioni (e validi argomenti) per avviare un dialogo e instaurare una discreta collaborazione, motivati probabilmente dalla necessità di provare e migliorare l’efficacia dei trattamenti, sul piano della ‘ricerca’ ognuno ha continuato (e continua) a camminare per la propria strada, in parte perché l’organizzazione attuale delle scienze (nel campo della ricerca, ma anche in quello della formazione e della didattica) non incoraggia l’interdisciplinarietà, in parte perché si sono consolidati all’interno e all’esterno dei vari ambiti disciplinari gerarchie di potere così strutturate e pervasive, che anche un leggero cambiamento di paradigma a monte … potrebbe produrre un tornado a valle!
Il mondo scientifico, nel suo insieme, appare sempre più frammentato e parcellizzato in una complessa costellazione di pianeti e satelliti, ognuno con la sua orbita relativamente indipendente, con il proprio micro-apparato di teorie di riferimento, con la propria collezione di modelli e modellini, con i propri metodi di validazione, con i propri circuiti di selezione e di pubblicizzazione, con il proprio linguaggio iperspecialistico – che svolge più la funzione di password per gli addetti ai lavori – che non di comunicazione e di scambio fra le parti.
In un tale scenario il richiamo ad un ‘modello integrato’ rappresenta veramente una sfida, una ‘provocazione’, che molti pensano di dover delegare ad un ristretto cerchio di menti pensanti (filosofi e storici della scienza), in modo da evitare ‘turbolenze’ di qualsiasi genere nei piani bassi della gestione e dell’organizzazione ‘ordinata’ e ‘concordata’ degli interessi di vario genere, collegati alle ‘ricadute’ e alle ‘applicazioni’ dei vari saperi. La SIPNEI – come ha ricordato ripetutamente (ma anche molto saggiamente) Francesco Bottaccioli, tentando di ricucire i vari interventi con il filo rosso del paradigma PNEI – vorrebbe invece che l’operazione avvenisse a tutti i livelli, nei percorsi di conoscenza e nei percorsi di cura, nella didattica e nella formazione, nei laboratori di ricerca e nelle aule universitarie.
Per questa impresa occorre veramente tanta pazienza – oltre che capacità di visione e coraggio. Le ragioni (almeno 10) per le quali la sfida della SIPNEI va sostenuta e incoraggiata sono sintetizzate nel sito: www.sipnei.it.