Psicologia della salute e del benessere
E’ dal 1948 che circola la famosa definizione della salute, introdotta dall‘Organizzazione Mondiale della Sanità, che considera la salute non una semplice “assenza di malattia o infermità”, ma “uno stato completo di benessere fisico, mentale e sociale” . Eppure in campo sanitario ci si continua a occupare prevalentemente di patologie e di disagi, gravi, medi o leggeri, rari o diffusi, episodici o cronici, genetici o ambientali, con una tale abbondanza di ricerche, di protocolli, di cure, di rimedi (tradizionali o alternativi) che rispetto alla complessità e alla ricchezza prodotte dal paradigna “malattia-malessere”, quello opposto di “salute-benessere” – pur essendo molto ‘popolare’ – non offre grandi articolazioni sul piano scientifico né tanto meno su quello degli interventi mirati. Vengono in mente due spiegazioni possibili: quella ‘leopardiana’ del “piacer, figlio d’affanno” secondo la quale l’esistenza è così satura costantemente di sciagure, di dolori e di sofferenze, che “Uscir di pena, è diletto fra noi”; oppure quella contenuta nell’osservazione di Tolstoj, quando dice nella prima pagina di Anna Karenina, che “le famiglie felici si somigliano tutte, quelle infelici sono infelici ognuna a modo suo”.
Occupandosi da anni di psicologia della salute, Mario Bertini non si accontenta della visione bipolare malattia/salute presente negli scenari scientifici e sanitari attuali, come di un continuum lineare fra due poli che si autoescludono, e propone invece una concezione ‘bivariata’, cioè della possibile co-presenza dei processi di salute-malattia, della sussistenza di due dimensioni qualitativamente diverse. La psicologia può dare a questa prospettiva un contributo notevole, a condizione che anch’essa si emancipi dal modello bipolare salute-malattia, senza però cadere nelle ingenuità di una certa psicologia ‘positiva’ (ad ogni costo)!
“Anche la psicologia dimostra di avere i suoi problemi nel distaccarsi dal territorio del malessere. Troppo tempo si è indugiato nell’apprezzare la novità, pur importante, del modello sistemico biopsicosociale, trascurando la vera novità: quella cioè di identificare finalmente la salute come una ‘dimensione positiva’ e non più come semplice ‘assenza’. Questa emergenza della salute, come stato di benessere, non deriva necessariamente dal modello biopsicosociale, il quale implica una copresenza di più dimensioni ma non la direzione dell’interesse: inserire la voce della psicologia o della soggettività nel coro degli operatori della salute di per sé non sposta l’ago della bilancia dal versante del modello malattia al versante del modello salute. Di fatto si può osservare come la stragrande maggioranza delle riflessioni teoriche e delle ricerche, nell’ambito della moderna psicosomatica, siano orientate a descrivere in che modo un fattore psicologico possa determinare una patologia somatica o mentale e non possa, viceversa, favorire un processo di crescita del benessere fisico o psichico. La svolta del paradigma richiede un più deciso movimento generale teso a riempire i vuoti di conoscenza della salute come stato positivo. In conclusione, il vero problema che si presenta oggi alla nostra attenzione è come declinare il concetto di ‘stato di benessere’ contenuto nella definizione. Schematicamente possiamo rilevare due linee generali di tendenza. Da una parte gli studi mirati alla valutazione soggettiva del benessere e, dall’altra, lo sforzo di individuare le dimensioni oggettive di quello che si potrebbe definire un buon funzionamento psicologico ”, (Mario Bertini, Psicologia della salute, Raffaello Cortina Editore, Milano 2012, pp. 48-49),