Minima moralia: quando la dialettica entra nel quotidiano
“Minima moralia” di Adorno (sottotitolo: Meditazioni della vita offesa) è diventato da alcuni mesi il mio ‘breviario’ quotidiano, agevolato in questa funzione dall’edizione piccola e compatta, uscita nel 1979 nella Nuova Universale Einaudi con la traduzione italiana di Renato Solmi e una illuminante ‘introduzione’ di Leonardo Ceppa.
Certificato il risveglio mattutino con un buon caffè, prima di attivare la trama dei pensieri e l’ordito degli umori, mi tuffo volentieri in una qualsiasi pagina del libro e per 10/15 minuti mi lascio avvolgere interamente dalla corrente di pensiero che attraversa queste ‘meditazioni’, seguendone le volute, la direzione, l’approdo.
La natura frammentaria dell’opera – 153 paragrafi indipendenti, autonomi, intensi, trasversali e ubiquitari per argomenti e intenzioni (apparentemente) distruttive – si presta ottimamente a quest’uso. L’ardore ‘critico’ di Adorno non ti assicura mai pensieri semplici e conciliativi né con te stesso né con gli altri né con il mondo. Ogni argomento ‘sfiorato’ diventa una doccia fredda che ti risveglia dalle apparenze e dalle banalità rassicuranti, ti sbilancia rispetto alle certezze conoscitive, acquisite e organizzate secondo ordini funzionali all’adattamento e al ‘quieto vivere’, ti inchioda a ragionamenti di una logica così stringente, che non trovi dentro di te argomenti con i quali ribattere… Che parli di Hegel o del cinema americano, delle teorie estetiche o delle mogli dei professori universitari, di politica o di moda, del nazismo o del marxismo, di Freud o di Schoenberg, di romanticismo tedesco o di industria culturale, di Biancaneve o di animali rinchiusi negli zoo Adorno coglie sempre con lucida e amara ironia “l’anello che non tiene”, l’elemento asimmetrico che offende la presunta armonia della bella costruzione, l’inganno gnoseologico che fa ‘saltare’ il sistema, la nota di falsità nella solenne dichiarazione di verità, il ‘brutto’ nell’esaltazione del ‘bello’, il ‘mondano’ nell’intimità del ‘sacro’, l’ ‘inumano’ nelle espressioni più convinte dell’ ‘umano’…
Questa pratica costante e determinata di ‘pensiero critico’ (o se si preferisce), divergente, dialettico, ‘trasformativo’ ha sul lettore ‘mattutino’ un effetto terapeutico: nell’immediato lo costringe ad assumere nei confronti del ‘quotidiano’, che incombe con la sua tacita coazione a ripetere, una distanza mentale, che in parte lo protegge, in parte lo rende più prudente e attento; nel medio periodo gli infonde una capacità di dislocazione prospettica rispetto agli ‘oggetti amati’ della sua riflessione – l’arte, la musica, la psicoanalisi, l’economia, la politica o semplicemente la ‘fenomenologia della vita quotidiana’ – che lo salvaguarda dalle posizioni dogmatiche, ideologiche e lo apre ad un possibile percorso di autentica ‘individuazione’.
“La triste scienza, di cui presento alcune briciole all’amico, si riferisce ad un campo che passò per tempo immemorabile come il campo proprio della filosofia, ma che, dopo la trasformazione dei metodi di quest’ultima, è caduto in preda al disprezzo intellettuale, all’arbitrio sentenzioso, e infine all’oblio: la dottrina della retta via. Quella che un tempo i filosofi chiamavano vita, si è ridotta alla sfera del privato, e poi del puro e semplice consumo, che non è più se non un’appendice del processo materiale della produzione, senza autonomia e senza sostanza propria.
Chi vuol apprendere la verità sulla vita immediata, deve scrutare la sua forma alienata, le potenze oggettive che determinano l’esistenza individuale fin negli anditi più riposti. Parlare immediatamente dell’immediato significa fare come quei romanzieri che adornano le loro marionette, quasi con vezzi a buon mercato, con le pallide imitazioni della passione di un tempo, e fanno agire i personaggi che non sono – ormai – che pezzi di un macchinario come se fossero ancora in grado di agire come soggetti, e come se dal loro agire dipendesse ancora qualcosa… Solo nel contrasto con la produzione, solo in quanto non sono ancora del tutto controllatii e assorbiti dall’ordine, gli uomini sono in grado di creare un ordine più umano” (pp. 3-4).