Maternità
Sono in molti a pensare che l’esperienza intima della maternità sia preclusa agli uomini, in quanto non coinvolti fisicamente nel processo di gravidanza. E’ il corpo della donna che si prende cura della nuova vita, ne protegge e ne ‘supervisiona’ in un certo senso lo sviluppo. Ma cosa succede al ‘sentimento della maternità’ se una donna offre un proprio ovulo, che – fecondato in vitro – viene impiantato nell’utero di un’amica e dopo nove mesi nasce un bambino? Non date risposte scontate. Le ‘implicazioni’ mentali della maternità sono molto più complesse di quelle biologiche. Le evidenzia molto bene Alessandra Sarchi in un bel romanzo dal titolo Il dono di Antonia (Einaudi), smontando gli stereotipi più comuni.
“Scomponi la madre. Toglile il corpo. Le braccia in cui rifugiarti per essere stretta e compresa. Il petto al quale appoggiarti per regolare al suo battito il tuo. Lo spazio fra il collo e la clavicola dove respirare odore di casa. Il ventre che ti ha contenuta prima di nascere, i fianchi che ti hanno sostenuto quando ancora non camminavi. Le gambe che ti hanno rincorso e insegnato a muoverti da sola. Le mani che sono cura, benedizione, rimprovero e avvertimento. Infine il volto, dal quale hai imparato a vedere il mondo, e te stessa; e nel quale ti ritrovi, anche quando non vorresti, anche quando non te l’aspetti, perchè la somiglianza è molto di più che una semplice affinità di lineamenti e di colori. Se elimini parte dopo parte, rimane l’idea della madre, che ti sei costruita nel tempo. Ti sei allontanata dal suo corpo e te ne rimarrà sempre nostalgia, confusa al senso di promiscuità di cui hai voluto liberarti” (p. 113).