La profezia del prof
Spulciando tra i primi numeri della rivista dell’Ordine degli Psicologi della Regione Sicilia – per una ostinata convinzione personale a ritenere il passato un tempo non del tutto coerente con il nome che porta – mi sono imbattuto in una intervista dell’anno 2000 al professore Giovanni Sprini.
Ordinario di psicologia generale presso l’Università degli Studi di Palermo e direttore per tanti anni del Dipartimento di Psicologia, scomparso nel novembre del 2010, Sprini ha rappresentato per gli psicologi siciliani (e non solo) un punto di riferimento ‘storico’ non solo per i contributi scientifici nel campo della ricerca e dello sviluppo della psicologia, ma anche per le preziose testimonianze di eventi, di incontri, di rapporti con personaggi più o meno ‘importanti’, che attraverso la sua narrazione colorita e disincantata acquistavano improvvisamente un’altra luce e un’altra dimensione. Di questi momenti personalmente ne ho potuto godere solo tardivamente, a margine di qualche cena post convegnistica e in qualche incontro palermitano, ma sufficienti a provarne ancora una certa nostalgia.
Ad ogni modo, nell’intervista realizzata da Claudio Casiglia, la mia curiosità è stata attratta dall’ultima domanda: “Professore, come vede la nostra professione nel futuro?”.
Chi è sollecitato a rispondere è un uomo che la psicologia l’ha vista nascere. Presente a Palermo insieme ad un gruppo sparuto di colleghi attorno a Gastone Canziani – medico psichiatra, che era diventato ordinario di psicologia nel 1952 portando a otto il numero degli ordinari nella disciplina presenti allora in Italia – il professore Sprini della psicologia italiana ne ha accompagnato i primi passi, ne ha promosso l’uscita dal recinto accademico e sperimentato le prime applicazioni ‘professionali’ nel settore dell’infanzia, del lavoro (ENPI), della psicodiagnostica, ne ha sollecitato l’autonomia didattica fino alla istituzione del Corso di laurea in Psicologia a Palermo nel 1983. La sua risposta merita, pertanto, un’attenzione particolare.
“Rispetto al futuro credo che si sia commesso un grave errore che probabilmente pagheremo a carissimo prezzo nei prossimi anni: non aver messo degli adeguati vincoli. So bene che il termine ‘numero chiuso’ o ‘numero programmato’ è assolutamente da evitare, ma resta comunque inderogabilmente il fatto che un sistema non può assegnare un’infinità di lauree professionali senza tener conto del loro effetto sul mercato. Riferendoci alla nostra regione, attualmente [= anno 2000 n.d.r.] su sei milioni di abitanti circa vi sono più di 1800 psicologi iscritti all’Ordine, che aumentano progressivamente del 10% ogni anno. Parallelamente i vecchi, cioè la mia generazione, rappresenta un numero assolutamente irrilevante sul totale. E’ chiaro che prima che si raggiunga un equilibrio tra coloro che entrano e coloro che escono dal mercato dovranno passare almeno vent’anni. Nel frattempo, il nostro Ordine si arricchirà di almeno quattromila iscritti ed io personalmente non ritengo che la domanda sia quella di uno psicologo ogni ottocento abitanti. Inoltre, la propensione per le scorciatoie ha fatto si che, anche in territori come il nostro, non venissero affrontati i terreni più ostici, come quelli della diagnostica o quelli che riguardano la psicologia dello sviluppo e dell’educazione, per esempio, dove esiste una domanda reale di intervento e, viceversa, le strutture istituzionali che possono rispondere a tale domanda sono particolarmente carenti. Lo scarso interesse per questi ambiti può portare seri rischi, per esempio, l’istituzione scolastica potrebbe rivolgere questa domanda, anziché all’esterno, al proprio interno. In altri termini, poiché il problema degli esuberi riguarda sostanzialmente l’azienda privata, mentre per le pubbliche amministrazioni il concetto guida è il trasformismo, si potrebbe correre il rischio che la psicologia scolastica, anziché assorbire professionisti accreditati, venga fagocitata da insegnanti trasformati in presunti psicologi o sedicenti tali”.
Verificare se una profezia – fatta anni prima – si sia effettivamente verificata o no è un esercizio utile non tanto per soddisfare una superficiale curiosità, ma per accreditare o meno la persona che l’ha fatta, e soprattutto per capire se il metodo utilizzato per la predizione possa essere replicato. In questo caso il professore Sprini ha sottostimato la crescita degli psicologi che sarebbero risultati iscritti all’Ordine nel 2020 (non 5800, ma 8100!), anche se tale sottostima aggrava ancor più l’entità dell’errore di non aver ‘governato’ tale crescita, errore ‘già commesso’ al tempo dell’intervista. Se così la pensava il professore Sprini, evidentemente molti suoi colleghi accademici non consideravano un errore tale crescita di psicologi, accelerata ancor di più dall’istituzione di altri corsi di laurea nel decennio successivo. Ci siamo trovati così di fronte ad un processo di ‘inflazione professionale’: un’offerta di psicologi superiore alla effettiva domanda di interventi, non perché i ‘bisogni diffusi e latenti’ di psicologia siano scarsi, ma perché la loro sostenibilità economica – con il progressivo impoverimento del Welfare – pesa interamente su persone che non hanno i mezzi economici per affrontarlo.
L’altro timore espresso da Sprini riguardo alla scarsa presenza degli psicologi nel mondo della scuola ha trovato (e trova) purtroppo conferma nei fatti. In vent’anni nessuna proposta di servizio di psicologia scolastica è andata in porto, in buona parte per il mancato sostegno alle proposte di legge proprio da parte del mondo della scuola. Da parte dei funzionari ed esperti ministeriali fino agli insegnanti e ai dirigenti è mancata una ‘lettura psicologica’ dei processi di apprendimento, delle dinamiche didattiche, della gestione degli istituti e delle classi e di conseguenza non si è mai apprezzata la presenza stabile di psicologi dentro la scuola. E’ prevalsa (e ancora prevale) a vari livelli una diffusa ‘cultura pedagogica’, intrisa di retorica e di ideologia, che vorrebbe orientare i processi attraverso non ben definite ‘strategie educative’, che non si conciliano con la complessità dei processi interattivi e relazionali che caratterizzano il mondo della scuola.
L’attuale pandemia – con la chiusura forzata delle scuole e la necessità di avviare didattiche a distanza – ha evidenziato tutte le fragilità strutturali, sistemiche e funzionali della scuola italiana e ha prodotto un forte e diffuso disagio, per il quale da più parti è stato invocato un adeguato supporto psicologico. Anche di fronte a evidenze emergenziali così chiare la risposta istituzionale è stata lenta, disomogenea, debole.
Quale futuro, allora, per la psicologia? La previsione del professore Sprini non poteva spingersi a immaginare che vent’anni dopo Il futuro sarebbe diventato ‘improvvisamente così ‘presente’ con l’ingresso del Covid 2 nelle nostre esistenze e uno sconvolgimento psicologico, sociale ed economico così ampio e diffuso da dover rivedere profondamente tutti i nostri assetti di vita e di mercato.
Lo scenario è improvvisamente cambiato e nell’incertezza, nel disorientamento, nelle paure che attraversano trasversalmente adulti e bambini, anziani e giovani di un supporto psicologico competente ed efficace molti ne avvertono la necessità, compreso qualche psicologo! Che migliore occasione per ricompattare la professione su obiettivi di salute e di benessere più inclusivi e trasformare il surplus numerico di psicologi in una inaspettata risorsa? Sprini ne sarebbe sicuramente contento!