Intelligenze multiple…
Più le neuroscienze progrediscono, più ci si rende conto della complessità di quella struttura, chiamata cervello , che oltre a condividere con le altre parti del corpo (fegato, cuore, milza, polmoni…), i processi fondamentali della ‘vita cellulare’, aspira ad essere considerato (e trattato) come un organo ‘speciale’, non tanto perché si avvale di un sistema biochimico ed elettrico molto raffinato, ma perché ‘ospita’ all’interno della sua originale ‘architettura’ una delle principali funzioni, che hanno permesso alla specie umana di sopravvivere ed evolversi in un modo assolutamente unico: l’intelligenza.
Se essa sia un semplice prodotto del nostro sistema nervoso – come dichiarava alla fine del Settecento il medico fisiologo francese Cabanis (“Come il fegato secerne la bile, così il cervello secerne il pensiero!”) – o una funzione ‘superiore’, per la quale si ha necessità di ipotizzare l’esistenza di una ‘ mente’ (se non proprio di un’anima), ancora non è certo: fatto sta che l’intelligenza rimane uno degli oggetti più indagati, ma anche più misteriosi. Malgrado siano stati elaborati parecchi tests per valutarla e misurarla (dalla scala Binet a quelle di Wechsler, dalle Matrici di Raven al Cultur Fair di Cattel…), l’intelligenza non si lascia ‘intrappolare’ in un valore numerico o in formulette che rischiano di far apparire poco… ‘intelligente’ chi li usa con disinvoltura.
E’ forse per questo che Howard Gardner – dopo aver rifiutato il concetto stesso di Q.I. (quoziente intellettivo) – preferì negli anni ’80 parlare dell’intelligenza al plurale, “forme diverse” (sette/otto), che in genere funzionano congiuntamente, in modo interdipendente, lasciando che in determinate situazioni una forma possa prevalere in maniera dominante sulle altre e che in alcune persone possa esprimersi ad altissimi livelli, relegando le altre nello sfondo: intelligenza verbale-linguistica, intelligenza logico-matematica, intelligenza visivo-spaziale, intelligenza corporea-cinestetica, intelligenza intrapersonale, intelligenza interpersonale, intelligenza musicale, intelligenza naturalistica.
Ognuna di queste intelligenze, per definirsi tale, deve soddisfare a ben otto criteri: essere posseduta da alcune persone in grado molto elevato; evolversi per tappe e potenziarsi progressivamente; mobilitare facoltà cognitive di base (chi ha intelligenza musicale ha anche sensibilità per il ritmo, facilità nell’individuare l’altezza dei suoni…); rappresentare (o aver rappresentato in passato) una risorsa in termini di sopravvivenza e di adattamento per la specie umana; poter essere analizzata con test di laboratorio e codificata con simboli (note, parole…); ‘poggiare’ su un substrato neuroanatomico specifico del cervello, in modo tale che una lesione seria in quell’area possa comprometterla.
Anche se non unanimemente accettata, la teoria di Gardner ha ricevuto un discreto consenso dal mondo scientifico, non paragonabile editorialmente al successo dell’intelligenza emotiva di Goleman, che pare abbia risolto il conflitto tra ‘cuore’ e ‘ragione’, evidenziando più ciò che li unisce che non ciò che li oppone. In realtà si tratta di una divulgazione semplificata ed efficace di quanto già Gardner aveva scritto a proposito dell’intelligenza intrapersonale e dell’intelligenza interpersonale, nella prospettiva di superare dualismi inesistenti (come quello di corpo e di mente), inconciliabili con le attuali conoscenze della medicina e della psicologia.
Le ricerche hanno confermato le ‘localizzazioni cerebrali’ delle diverse forme di intelligenza, indicate da Gardner – ad eccezione di quella ‘naturalistica’ – ampliando tuttavia la ‘geografia’ dei siti coinvolti nelle varie funzioni intellettive ed evidenziando un ‘funzionamento’ cerebrale sempre più diffuso e interconnesso anche attraverso meccanismi sincronici di modulazione e di vera e propria inibizione di altre aree del sistema nervoso . Olivier Houdè (docente di psicologia alla Sorbona) ha dimostrato con il brain imaging, ad esempio, che l’intelligenza visivo-spaziale (quella che permette tra l’altro di valutare e confrontare fra loro grandezze fisiche diverse) può entrare in conflitto con l’intelligenza logico-matematica: nel famoso esperimento di Piaget delle due file di gettoni, allineati sul tavolo (uguale numero, ma con spazi di intervallo maggiore nella seconda fila), i bambini di 5/6 anni attribuiscono alla fila più lunga un numero maggiore di gettoni non perché ‘non sappiano contare’ , ma perché l’area cerebrale della percezione visiva ‘rimane in loro attiva’: l’intelligenza visivo-spaziale finisce così con il prevalere sull’area del ‘ragionamento numerico’. Solo ‘inibendo’ temporaneamente l’area dell’intelligenza visivo-spaziale, l’intelligenza logico-matematica ‘si fa avanti’ e risolve correttamente il problema. Tutto ciò dimostra che a parte la ‘pluralità’ delle intelligenze presenti nell’individuo, ognuna con le sue aree cerebrali di riferimento, per far suonare bene queste diverse ‘canne d’organo’ occorre che ci sia una tastiera e… un organista! L’organista, non può che essere il soggetto al quale appartiene quel determinato ‘cervello’. E la ‘tastiera’? Olivier Houdé indica nella corteccia pre-frontale del cervello l’area in cui convergono molti collegamenti delle diverse intelligenze e non è da escludere che proprio in questa sede (potenziata dalle esperienze e dagli apprendimenti successivi) potrebbero svolgersi quelle operazioni che ci permettono di destreggiarci meglio con le nostre intelligenze, selezionando di volta in volta quella ritenuta più idonea in base alla situazione e al problema da risolvere.
Antonio Damasio (che non si accontenta della semplice equazione mente=cervello) direbbe in più che per operare questo discernimento sulla ‘tastiera’ non solo abbiamo bisogno di chiamare in causa anche tutte le aree interessate alle emozioni e ai sentimenti, ma dobbiamo anche riconoscere che senza “un senso di sé” (coscienza di base) tutto ciò non sarebbe possibile. Che sia al singolare o al plurale l’intelligenza umana trova nella coscienza, dunque, quella particolare funzione della ‘mente’, che a vari livelli di intensità e di partecipazione, di automatismo inconscio o di consapevolezza, ci permette di raccogliere tutte le informazioni (interne ed esterne), di discriminarle, di ‘decidere’ se agire o re-agire semplicemente .
Le implicazioni pedagogiche di queste ricerche sono innumerevoli. Anche in Italia sono sono state avviate e pubblicate (dalla Erikson, ad esempio) esperienze di apprendimento e di didattica basate su questo costrutto.
La teoria delle intelligenze multiple di Gardner ha confermato intanto le osservazioni empiriche di quei genitori e insegnanti che hanno sempre ritenuto che ogni bambino ha un suo modo particolare di approcciarsi alla realtà e un modo ‘personale’ di affrontare le situazioni e cercare di risolvere i problemi. Come dire ognuno è ‘intelligente’ a modo suo e andrebbe per questo riconosciuto, rispettato e accompagnato nel suo sviluppo, tenendo conto del particolare mix di intelligenze che possiede inizialmente e che progressivamente si va costruendo. Più che chiedersi se e quanto un bambino è intelligente, occorrerebbe domandarsi: “con quali forme di intelligenza si esprime meglio”?
Questa domanda pone gli adulti in un atteggiamento di maggiore ‘benevolenza’ nei confronti dei bambini e delle loro potenzialità, suggerendo la possibilità di vie diverse di realizzazione e quindi di supporti pedagogici diversificati. E’ ovvio che un tale atteggiamento mal si concilia con la maggior parte della pratiche didattiche centrate sulla standardizzazione dei processi di apprendimento secondo sequenze lineari (e non dinamiche), tipiche dell’apprendimento scolastico, nel quale ad essere privilegiate sono l’intelligenza verbale-linguistica, l’intelligenza logico-matematica e indirettamente l’intelligenza interpersonale. Chi oggi non possiede un grado sufficiente di queste forme di intelligenza (anche se ne possiede altre) può andare incontro facilmente a insuccessi scolastici o a difficoltà di apprendimento.
Individuate le intelligenze dominanti e quelle ‘secondarie’, conoscendo meglio le interdipendenze e le correlazioni che esistono tra un’intelligenza e un’altra, il passo successivo dovrebbe essere quello di favorire il potenziamento delle intelligenze dominanti e di far leva su queste per agire in modo complementare anche sulle altre.