Il pechinese
Agli amici, che amano i cani e hanno condiviso con essi esperienze di vita quotidiana, segnalo uno scritto ‘giovanile’ di Marguerite Yourcenar (Suite di stampe per Ku-Ku-Hai), che contiene una ‘bellissima lettera d’amore’ al pechinese, che le fece compagnia a Firenze per alcuni anni. In realtà è un piccolo saggio sulle intime relazioni, che hanno caratterizzato storicamente in Oriente e in Occidente, il rapporto dell’uomo con gli altri esseri viventi. Predatorio e utilitaristico quello degli ‘occidentali’, convinti della superiorità dell’uomo su tutte le altre forme di vita, vegetali e animali, perchè dotato di ‘spirito’, cioè di un’anima invisibile e immortale da tutelare e salvare ad ogni costo, anche sacrificando il corpo, il mondo e la natura. “Non si meravigliavano del fatto che la forza che pensa nell’uomo, è la stessa che striscia nel lombrico, vola nell’uccello o vegeta nella pianta. Di tutta la natura, non si interessavano che del cielo”. Più rispettoso il rapporto uomo/natura nelle culture orientali, influenzate da visioni religiose che non separavano e opponevano le diverse espressioni della vita. “Budda, il tuo dio, il pallido asceta dalle mani aperte, si ricordava di essere passato attraverso tutte le metamorfosi del Bestiario, proprio come l’embrione dell’uomo che sviluppa l’una dopo l’altra tutte le forme animali, prima di stabilirsi nel rango di feto umano”.
A questa visione vorrebbe aderire totalmente la ventiquattrenne Marguerite, anche in omaggio al piccolo pechinese, che – sebbene nato a Firenze da antenati portati lì ai tempi di Marco Polo – di quel mondo comunque è originario, ne porta i segni sul volto e forse ne prova anche nostalgia.
E qui la Yourcenar – grazie alla magia della letteratura, che non teme gli ‘antropomorfismi’ – presta al pechinese la sua voce, i suoi sentimenti, i suoi pensieri, in una notte senza tempo rischiarata dalla luna: “Tu, piccolo cane, ascoltatore dai grandi occhi di questo incantesimo silenzioso, tu guardi, nella notte di cristallo, palpitare questo bel gong d’argento. Dal fondo delle tue vite precedenti, delle esistenze ancestrali che si trasmettono insieme alla vita, quante volte, da questa chiara terrazza, hai guardato nevicare i raggi della luna?”
Il pensiero va ad un altro cane, quello del poeta Li-Tai-Po, che in una notte molto simile vicino ad un lago, “vide nel pallido volto dell’astro la figura sommersa di una donna” e si lanciò per salvarla, annegando nell’acqua. Il piccolo cane rimase sul bordo del lago, “guaiolando inconsolabile alla luna…”.
Destini affini, il vivere e il morire, per gli uomini e per i cani, se pregiudizi e convenzioni non avessero creato distanze incolmabili. “Il sangue, le razze, le specie, le tradizioni ci dividono. Al caso, che ti fece mio giocattolo, mio idolo forse, hanno collaborato tutte le combinazioni planetarie. Prodotto di un altro mondo , delizia di un altro popolo, tu saresti straniero per noi se solo qualcosa, non solo di umano, ma di vivente lo potesse essere”.